Bisogna saper perdere
Luis Enrique ha vinto tutto, ma ieri ha insegnato una cosa ancora più grande: riconoscere chi sa perdere.
Quante volte, lo sai si piange in amore
Ma per tutti c'è sempre un giorno di sole
Tu non devi odiarmi se sorridere non sai
Dammi la tua mano, siamo amici più che mai
Cinque a zero.
A memoria, nessuno ricorda una finale di Champions League finita così.
Dominio netto, supremazia indiscutibile. Tutto vero. Ma non è questa la storia che conta.
La storia sta in novanta secondi.
Un minuto e mezzo che in pochi hanno notato, nella notte di Monaco di Baviera.
Quando il Paris Saint-Germain si prepara a sollevare la coppa, e i giocatori dell’Inter — appena travolti — non si muovono.
Non c’è una parola. Non c’è un gesto fuori posto. Solo schiene dritte, occhi lucidi e un silenzio che vale più di cento discorsi.
E poi c’è lui. Luis Enrique.
Festeggia, sì. Ma a un certo punto si gira.
Li vede. E li applaude.
Nessun copione. Nessuna inquadratura cercata. Solo calcio. Quello vero.
Quello che, ogni tanto, per fortuna, ci ricorda perché ci siamo innamorati di questo gioco.
Non stiamo parlando di un gol, di un’esultanza, di una giocata da highlights.
È una scelta.
Quella dell’Inter, appena sconfitta 5-0, di restare in campo.
Così come si dovrebbe fare sempre, per offrire l’onore delle armi ai vincitori.
Con un rispettoso silenzio che però dice tanto.
Nel momento della premiazione, quando il PSG si prepara a sollevare la coppa, i giocatori nerazzurri non si voltano.
Non si tolgono la medaglia, come troppo spesso abbiamo visto fare.
Non cercano l’uscita più vicina, non inseguono lo spogliatoio per nascondere la delusione.
Restano lì. Con gli occhi lucidi e la schiena dritta.
Non per obbligo, ma per rispetto.
Perché si può perdere, sì. Ma c’è modo e modo. E questo è il migliore che si possa scegliere.
Luis Enrique se ne accorge.
Un’inquadratura dall’alto lo mostra mentre prima festeggia con i suoi, poi si gira verso i calciatori dell’Inter – appostati a pochi metri dal palco – e li applaude. Un gesto istintivo, sincero, che anticipa le parole.
E forse è proprio questo che rende il gesto ancora più potente: sapere chi lo compie.
Poi arriva la conferenza stampa e le parole completano il gesto:
“È una grande lezione per i bambini. Nella vita come nel calcio si vince e si perde. Bisogna saper perdere. Ci sono tante persone che sanno solo vincere. No! Bisogna mostrare rispetto al rivale come ha fatto oggi l’Inter. Li ringrazio per questo.”
Un gesto.
Un applauso.
Una lezione.
Parole non di circostanza.
Soprattutto se dette da uno che ha vinto quasi sempre.
Luis Enrique è senza dubbio un vincente dello sport: da allenatore ha alzato 16 trofei, dopo averne collezionati altri 10 da calciatore, compreso l’oro olimpico. Ha disputato 13 finali, vincendone 11.
Insomma, uno che sa cosa significa vincere.
Ma forse proprio per questo, sa anche riconoscere la grandezza in chi perde.
E non è affatto scontato.
Nel calcio moderno, dove tutto è show, dove si rincorrono polemiche, gesti plateali, esultanze a effetto e comunicati al vetriolo, vedere una squadra perdere così — e un allenatore avversario applaudire — ha un sapore quasi antico.
È raro. È prezioso.
È qualcosa da raccontare.
In una notte che doveva essere tutta del PSG, l’Inter riesce sul filo di lana a lasciare il proprio segno.
Con un bell’esempio da trasmettere ai più piccoli.
Una lezione vera, di quelle che restano nel tempo.
Perché sì, si può perdere.
E a dire il vero, sono sempre più le volte che si perde che quelle che si vince.
Ma bisogna saperlo fare.