Che differenza c'è?
Un viaggio nella cultura Maori tra passato, futuro e intelligenza artificiale.
Il 2023 è stato un anno tumultuoso, c’è poco da dire. La valanga ChatGPT ha travolto un po’ tutti. Dal mio osservatorio (e col senno di poi) è stato un fenomeno rivoluzionario più del Covid, che invece ha avuto il classico “effetto a molla” (in alcuni contesti pare siamo tornati agli anni ‘90).
E adesso che stiamo iniziando a vedere cosa può fare davvero la tecnologia una domada aleggia nell’aria: cosa differenzia veramente gli esseri umani dalle macchine?
Con l'avvento di sistemi sempre più avanzati e modelli di intelligenza artificiale (IA) che simulano e spesso superano le capacità umane in diversi compiti, la linea di demarcazione sembra davvero sottilissima. Probabilmente per qualsiasi cosa che l’uomo è in grado di fare, prima o poi verrà inventata una macchina, un sistema, un modello che lo farà meglio. Magari in maniera diversa, ma più efficace, più efficiente, più produttiva. O tutto questo insieme. Scusate se è poco.
E allora cosa ci rende diversi (non per forza migliori) dalle macchine e quindi utili, necessari, non irrilevanti?
Qualche tempo fa sono inciampato in un libro incredibile scritto da James Kerr dal titolo "Niente teste di cazzo: lezioni di vita e leadership dagli All Blacks" che ha spostato lateralmente il mio punto di vista e mi ha aiutato a rispondere a molte di queste domande.
Ogni volta che gli All Blacks entrano in campo, c'è un momento che ruba la scena prima ancora che il gioco inizi: la Haka. Una danza Maori che è un vero spettacolo, non solo per la sua bellezza visiva, ma anche per l'emozione che trasmette a noi spettattori e soprattutto ai giocatori avversari. In quel preciso istante, si ha la sensazione che la vera partita si giochi già, e si gioca soprattutto nella mente.
Tuttavia c’è da dire che la Haka non serve (solo) per intimidire gli avversari, è molto di più. La Haka nasce come un ponte verso lo spirito degli antenati. Gli All Blacks in questo modo evocano la forza e lo spirito dei loro antenati, trascinandoli dal passato al presente, infondendo loro una forza interiore incredibile.
La Haka quindi ci ricorda che questo è il momento, è il momento presente ciò che conta davvero.
Ci insegna che la partita che stiamo giocando, la vera partita, va oltre il semplice campo di gioco. È una partita della vita, una partita che riguarda chi siamo e da dove veniamo.
“E tāku mōkai, he wā poto noa koe i waenganui i te wā kua hipa me te wā kei tū mai.”
Traduzione: “Non sei altro che un briciolo di presente in mezzo a due eternità, il passato e il futuro.”
“Sii un buon antenato. Pianta alberi che non vedrai mai.”
Riscoprire, riappropriarsi, fare leva sul passato, per vivere il presente e orientare le nostre azioni al futuro significa ricordarci di essere umani e riuscire ad ottenere un successo che va oltre il nostro piccolo pezzo di terra e oltre questi giorni. Au, au, aue h ā! È il nostro momento! Il nostro momento!
Torniamo quindi all’intelligenza artificiale e alle nostre domande iniziali: cosa differenzia veramente gli esseri umani dalle macchine?
Per me ormai la risposta è abbastanza chiara e delineata: il tempo. Una risorsa limitata, non rinnovabile, per questo infinitamente preziosa, che orienta le decisioni umane, valorizza le relazioni, ci spinge a migliorare, crescere, evolvere.
Nessuna intelligenza artificiale, per quanto evoluta, potrà mai capire il valore del tempo, non come scadenza temporale, ma come sentiero evolutivo che partendo dal passato ci trasporta in un flusso infinito.
Siamo di fronte ad una metafora che va oltre il rugby, rappresenta la vita, il legame con il passato, il presente e il futuro: si tratta di portare avanti la palla e passarla alla prossima generazione. Gli All Blacks dicono che il loro obiettivo è “lasciare la maglia in un posto migliore” cioè lavorare verso il bene comune, custodi e architetti del domani.
Le persone quando credono in qualcosa di più grande di loro, sono disposte a tutto. E l’intelligenza artificiale?