Come ho avuto modo di dire anche altre volte, ho la netta sensazione che stiamo vivendo un equivoco grandissimo: stiamo confondendo il digitale con la digitalizzazione.
Con la parola digitale ci riferiamo in maniera molto generica a tutti i portali, piattaforme, sistemi informativi, gestionali e via discorrendo che costituiscono le fondamenta e l’infrastruttura tecnologica su cui cresce e si evolve la digital society. Con un piccolo sforzo di fantasia possiamo dire che il digitale è la parte tangibile della realtà immateriale.
E se ci guardiamo intorno possiamo notare che ogni giorno l’umanità produce una quantità immensa di digitale. Siti, app, sistemi più o meno complessi si vanno a sostituire a prodotti analogici che - seppur lentamente - escono dalle nostre vite. Per esempio l’obliteratrice alla stazione ha lasciato il posto al tornello con lettore ottico e sistema contactless. Allo stesso modo in ogni ambito o settore troviamo sempre più digitale.
Tuttavia questa pervasività di strumenti, prodotti e portali digitali è sì un elemento abilitante e necessario per parlare di vera e propria società digitale, ma non è sufficiente. Dobbiamo ancora considerare l’aspetto umano, le persone che usano, vivono, governano e in qualche modo subiscono i cambiamenti provocati dalla estrema trasformazione digitale.
In altre parole viviamo il paradosso che abbiamo infiniti strumenti per fare prima e meglio tutto ciò che vogliamo, ma chi dovrebbe farlo - cioè le persone - non è ancora pronto, non sa farlo, non vuole farlo, ha paura e così via. Abbiamo i migliori martelli e chiodi mai inventati nella storia dell’uomo, ma non abbiamo ancora muratori in grado di utilizzarli. Ed è su questo che dovremmo concentrare la nostra attenzione.
Produrre digitale è stato utile e in certi casi ancora lo è, ma ad oggi non è la priorità.
Oggi abbiamo bisogno di digitalizzazione, cioè del processo di innovazione sociale che crea consapevolezza e valore per i singoli e le comunità, che spinge le persone a cambiare stile di vita - non perché gli viene imposto un nuovo portale - ma perché attraverso il digitale è possibile innescare processi virtuosi e sostenibili.
In conclusione quando sentite i politici annunciare la nascita di nuovi progetti digitali - pensiamo al fallimento di Italia.it, ItsArt e l’annunciato ecommerce del Made in Italy - dovete inorridire, perché si tratta dell’ennesimo spreco di risorse pubbliche. Quello che invece dobbiamo chiedere a chi ci governa è una visione di futuro: quale processo di innovazione sociale vogliamo innescare grazie alla digitalizzazione della società? Quali obiettivi di sostenibilità ambientale vogliamo raggiungere? Che mondo stiamo costruendo per i nostri figli?
Questo è possibile solo se inizieremo finalmente a parlare e a investire sulla digitalizzazione, che è un processo virtuoso e di valore, e non sul digitale, che è un insieme neutro di strumenti.
Se pensi che questo ragionamento sia sbagliato o che vada integrato con altre considerazioni o ragionamenti ti chiedo cortesemente di dirmelo. Parliamone insieme, troviamo un modo per governare al meglio queste dinamiche che possono travolgerci così come possono spingere l’intera umanità verso un futuro radioso.