Internet tra tecnica e umanesimo
La rete non è uno strumento tecnologico, ma è un ambiente cognitivo immateriale. Attenzione che cambia tutto, ma proprio tutto tutto.
Internet e tutto ciò che assimiliamo a questa parola vive un’ambiguità di fondo, un peccato originale che ha tratto in inganno molti, soprattutto all’inizio della rivoluzione tecnologica (ormai più di vent’anni fa).
Si credeva - e tantissimi lo pensano ancora - che Internet fosse uno mero strumento tecnologico e in quanto tale il nostro approccio alla rete dovesse essere essenzialmente tecnico: una serie di computer connessi tra loro che ci permettono di condividere, imparare, chiacchierare, giocare e lavorare. In altre parole una serie di dispositivi informatici che permettono agli uomini di fare cose. E la nostra possibilità di fare cose aumenta e migliora in base a quanto lo sviluppo tecnologico riesce a progredire.
Dispositivi sempre più veloci e potenti? —> Calcoli sempre più complessi.
Dispositivi sempre più leggeri? —> Utilizzo anche al di fuori degli uffici.
Dispositivi che stanno in una mano? —> Possibilità di essere sempre connessi.
Questo è il modo di pensare che ha dominato gli ultimi anni ed è così che - secondo il mio parere, sbagliando - spesso continuiamo a vedere il mondo digitale che abbiamo intorno.
E la parola intorno non l’ho usata a caso, perché in questa ottica la tecnologia è altro rispetto a noi. Ci avvolge, ma non ci tocca. Ci aiuta, ma non ci influenza. C’è un chiaro rapporto di interdipendenza tra noi e internet (non potrei mai fare il mio lavoro senza il web e la rete), ma di tendenziale autonomia tra il mondo tradizionale e il mondo tecnologico. Basti pensare a quanti ancora distinguono tra analogico e digitale.
Questa visione va superata.
Partiamo dalle parole e cerchiamo di dare definizioni che possano guidarci in questa travolgente transizione digitale: la reale natura di Internet non è tecnologica e pensare che il web sia un mero strumento informatico è francamente limitante.
La rete è un ambiente cognitivo immateriale, cioè un luogo - nato grazie al progresso tecnologico - in cui le persone ogni giorno costruiscono la propria rappresentazione del mondo, vivono, lavorano, si relazionano, mettono i propri vissuti, i loro sogni e le loro emozioni.
L’aspetto umano prende il sopravvento indicandoci la strada da seguire: non è lo strumento tecnologico che ci permette di fare cose, ma è l’uomo che costruisce senso e crea valore utilizzando la tecnologia e guidando il progresso tecnologico. Sembra banale, ma cambiando ottica, cambia anche il nostro modo di vivere la trasformazione digitale e di conseguenza le nostre scelte - anche quotidiane - ne sono fortemente influenzate.
Fiducia, etica, cultura digitale, coopetizione, condivisione, digital divide sono temi propedeutici [dal greco προπαιδεύω «istruire prima» - che serve di introduzione allo studio di una scienza, di una disciplina] di blockchain, intelligenza artificiale, machine learning e open data.
I primi non sono più importanti, ma essenziali per comprendere e governare al meglio i secondi. La fiducia è la mamma, le blockchain i figli. Così come l’etica è matrice di intelligenza artificiale buona, virtuosa, sostenibile.