“Alla fine, tutte le partite sono giocate contro te stesso. La battaglia più dura è sempre quella con la tua testa.”
(Andre Agassi, OPEN)
Essere il migliore è il sogno di molti.
Essere il migliore di tutti è un peso che in pochi riescono a sostenere.
Tutti parlano della fatica della scalata. Nessuno parla del vuoto che trovi quando arrivi in cima.
Perché il successo, quando supera una certa soglia, non libera.
Incatena.
Il numero uno non può permettersi giornate storte, pause, esitazioni.
Ogni prestazione è un giudizio. Ogni calo è una crisi. Ogni scelta diventa simbolo.
E anche il talento più puro finisce intrappolato nella gabbia delle aspettative.
Quelle degli altri. Ma soprattutto le proprie.
È il paradosso dell’eccellenza: la stessa tensione che ti ha portato in alto comincia a logorarti.
“A volte sento che porto il peso del mondo sulle spalle.
Non sono solo una ginnasta, sono umana.”
(Simone Biles, Olimpiadi di Tokyo 2021)
Cerchi la perfezione come se fosse una condizione naturale e invece è solo un attimo.
Effimera, instabile. Eppure obbligatoria.
Così ti ritrovi a vivere non per vincere, ma per non deludere.
Non per crescere, ma per confermare.
Non per amare quello che fai, ma per difendere quello che sei diventato.
La crisi non arriva sempre con una caduta clamorosa.
A volte arriva in silenzio, quando smetti di goderti anche la vittoria.
Quando non sai più se stai gareggiando contro gli altri o contro l’idea che gli altri hanno di te.
In questi giorni ci ho pensato, guardando Sinner perdere partite che — sulla carta — avrebbe potuto vincere.
E avrebbe potuto vincerle, perché è un campione straordinario.
Ma è proprio questo il punto: quando sei il numero uno, ogni sconfitta diventa anomala. Inaccettabile. Persino colpevole.
Eppure, nessuno si sorprende quando vince partite che avrebbe potuto perdere.
Come se l’eccellenza dovesse essere una garanzia, non una possibilità.
Ma non funziona così.
Se giudichiamo il campione per quello che perde, dovremmo farlo anche per quello che riesce a strappare.
Se vale in un senso, vale anche nell’altro.
Il punto è che nessuno può essere il migliore per sempre.
E chi lo è stato, anche solo per un po’, conosce bene quel peso:
l’insostenibile necessità di essere sempre all’altezza.
“Ho fallito più e più volte nella mia vita.
Ed è per questo che ho avuto successo.”
(Michael Jordan)
Forse la vera grandezza non è restare in vetta, ma avere il coraggio di accettare che la vetta non è una casa.
È solo un passaggio. Un punto di vista.
Un luogo da cui, prima o poi, si deve scendere.
Per continuare a essere umani. E liberi.